Sexual assoult against a minor, unconscious due to the use of alcohol and drugs: violence or sexual abuse? The Spanish case of the 'Manada de Manresa', in the perspective of an Italian scholar

About the Concepts of Violence and Threat in the Criminal Law

In the Spanish case of the so called "Manada de Manresa" case is questionable if one can be sentenced of a rape made without using violence or threat.

In the Spanish case of the so called "Manada de Manresa" case is questionable if one can be sentenced of a rape made without using violence or threat.

 

Da tempo sta facendo molto discutere, in Spagna, il caso di un assalto sessuale di gruppo perpetrato da alcuni giovani ai danni di una minorenne, vittima di atti sessuali compiuti, nei suoi confronti, mentre si trovava in stato di incoscienza per l’effetto di alcool e droga. Una vicenda che lascia senza parole per l’età giovane della vittima e per la brutalità dell’atto sessuale, compiuto a turno dai giovani, in fila indiana. Di qui il nome icasticamente dato al caso – c.d. Manada de Manresa (mandria, di Manresa, dal nome della località in cui si sono svolti i fatti) –, oggetto in questo blog di una serie di post della prof.ssa Maria Acale Sanchez, l’ultimo dei quali pubblicato oggi a chiusura della vicenda – ma non della polemica – da parte del Tribunale Supremo.

Rinvio ai post della prof.ssa Acale Sanchez per una completa ricostruzione del caso e dei riferimenti normativi, limitandomi qui a segnalare, in estrema sintesi, che nel corso del procedimento penale si sono susseguite pronunce contrastati circa la qualificazione giuridica del fatto, inquadrato in un primo momento nella fattispecie dell’abuso sessuale e, solo in ultima istanza, in quella di violenza sessuale. Le due fattispecie, nel codice penale spagnolo, sono punite con pene assai diverse, ragion per cui la qualificazione come abuso sessuale – reato meno grave – aveva destato clamore per la sproporzione della pena, per difetto, in rapporto alla gravità del fatto.

La violenza era stata esclusa sul rilievo che lo stato di incoscienza della vittima aveva reso non necessarie la violenza e/o la minaccia, ossia le modalità della condotta necessarie per integrare il più grave reato sessuale. La vittima infatti, in ragione dello stato in cui versava, non aveva potuto opporre una resistenza superabile attraverso condotte sopraffattorie. La soluzione opposta – cioè la configurabilità del più grave reato di violenza sessuale – è stata affermata in ultima istanza valorizzando la complessiva situazione di intimidazione (ambientale) e di inferiorità/vulnerabilità che ha caratterizzato la vicenda.

Si discute ora, in Spagna, circa l’opportunità di modificare la disciplina dei reati sessuali, per evitare che fatti gravi come della ‘Manada di Manresa’ possano sfuggire all’inquadramento nella violenza sessuale.

Può allora forse essere interessante segnalare che in Italia un caso analogo non avrebbe posto il problema di cui si discute in Spagna. Il codice penale italiano, sotto la rubrica ‘Violenza sessuale’, punisce infatti con la stessa pena gli atti sessuali compiuti con violenza/minaccia oppure con abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima (art. 609 bis cod. pen.).  In un caso di violenza sessuale di gruppo, la Corte di Cassazione ha ad esempio riconosciuto, nel 2018, che tra le condizioni di inferiorità psichica o fisica di cui all’art. 609 bis c.p., possibili oggetto di abuso, rientrano “anche quelle conseguenti alla volontaria assunzione di alcolici o di stupefacenti, in quanto anche in tali casi la situazione di menomazione della vittima, a prescindere da chi l’abbia provocata, può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell’agente” (Cass. Sez. III, 13 febbraio 2018, n. 16046, CED 273056).

Se non lo interpreto male, il caso spagnolo mostra come, in un quadro normativo che, diversamente da quello italiano, non parifica, quanto a disvalore, l’abuso di inferiorità psico-fisica alla violenza, si favoriscano interpretazioni di dubbia compatibilità con il principio di legalità; interpretazioni che, per realizzare comprensibili esiti di giustizia sostanziale, forzano il dato normativo, estendendo oltre misura il concetto di violenza o, nel caso di specie, quello di minaccia.

In un mio lavoro monografico sul concetto di minaccia nel diritto penale (G.L. Gatta, La minaccia. Contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Roma, 2013, p. 105 s.), ho sottolineato come una minaccia non è configurabile se le condizioni psico-fisiche della vittima (ad es., l’ubriachezza) impediscono di percepirla. Il meccanismo intimidatorio della minaccia è infatti di tipo psicologico: si basa sull’intelletto. Se questo non è in grado di percepire la minaccia – ancor più se ambientale o situazionale – non è configurabile una condotta violenta. Il che non significa, almeno in Italia, che l’ordinamento non punisca adeguatamente il fatto commesso nei confronti dell’incapace: nel nostro caso, parificando quanto a conseguenze sanzionatore le condotte violente a quelle abusive.