Il diritto penale di fronte all’emergenza da coronavirus: la risposta italiana e i possibili compiti della scienza penalistica

L’Autore ripercorre le misure normative urgenti adottate dal Governo italiano per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, con particolare attenzione alle disposizioni penali, e invita a una riflessione circa il ruolo che può svolgere la dottrina penalistica anche in un contesto emergenziale

In Italia, a fronte dell’aggravarsi dell’emergenza coronavirus, l’ordinamento giuridico ha reagito con una pluralità di strumenti finalizzati a contenere il rischio di contagio.

Tali strumenti sono stati fondati dapprima sul decreto legge n. 6 del 23 febbraio 2020, e da ultimo sul decreto legge 25 marzo 2020, che sostituisce quasi in toto il primo.

Vediamoli sinteticamente.

Il Governo, pur in presenza di leggi già esistenti che a vario titolo consentivano a varie autorità di adottare misure sanitarie urgenti in presenza di epidemie o emergenze varie (Legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, n. 833/1978; d.lgs. n. 112/1998; Codice della protezione civile, d.lgs. n.1/2018) è intervenuto con normative ad hoc.

In un primo momento con decreto legge n. 6/2020, poi convertito in legge n. 13/2020 dal Parlamento, ha fissato alcune regole, valevoli per i cittadini che si trovavano nelle c.d. zone rosse, ovvero a particolare rischio epidemiologico.

Successivamente sono stati emanati vari provvedimenti amministrativi, sia di fonte statale (decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, ordinanze del Ministero della Salute, ordinanze del Capo del Dipartimento di protezione civile) valevoli su tutto il territorio nazionale, sia di fonte regionale (ordinanze dei Presidenti di Regione) e comunale (ordinanze sindacali), valevoli ratione loci.

Si trattava di divieti (ad es. di uscire di casa se non per ragioni di lavoro o salute), e di obblighi (ad es. di quarantena per i contagiati, o di chiusura di determinate attività commerciali) che progressivamente si sono fatti più restrittivi delle libertà di circolazione e di impresa.

Sul piano penale, l’art. 3, co. 4 del d.l. n. 6/2020 ha introdotto una fattispecie penale ad hoc, la quale incriminava la violazione delle misure di contenimento del rischio sanitario ivi elencate in via esemplificativa, e al contempo facoltizzava le autorità competenti (tra le quali il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Presidente di Regione e il Sindaco, con ordinanze contingibili e urgenti) ad adottare “ulteriori misure” di contenimento.

La violazione di tutte le misure prescritte per ragioni di tutela della sanità dalle autorità sopra indicate era penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 650 del c.p., richiamato quoad poenam, il quale punisce l’inosservanza dei provvedimenti legalmente dati dall’autorità.

Il nuovo reato, punito blandamente (con la pena alternativa dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda fino a 206 Euro) poneva problemi rispetto al principio di legalità (riserva di legge), nella misura in cui prevedeva un rinvio sostanzialmente in bianco a “misure ulteriori” rimesse a fonti secondarie, anche regionali e comunali (decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri; ordinanze del Ministero della Salute, ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile, ordinanze contingibili e urgenti).

Il rinvio era sostanzialmente in bianco, perché il d.l. n. 6/2020 si limitava ad indicare un criterio finalistico (di contenimento del rischio epidemiologico) e ad esigere i soli e vaghissimi parametri della adeguatezza e proporzione delle misure di contenimento, ovvero nulla di realmente orientante sul piano dei contenuti e dei limiti all’intervento delle fonti secondarie.

D’altra parte, per i casi di violazione dei divieti più seri (ad es. di circolazione delle persone positive al coronavirus con obbligo di quarantena, che non di meno abbiano contatti sociali senza precauzioni) si era ipotizzata l’applicabilità della fattispecie delittuosa di epidemia (art. 438 c.p., punibile anche in forma colposa ai sensi dell’art. 452 c.p.), o dell’art. 260 del vecchio testo unico sulle leggi sanitarie.

Entrambi i delitti, puniti con pene decisamente più adeguate al rischio sanitario da fronteggiare, non sembravano però agevolmente applicabili ai casi di violazione delle misure finalizzate a contenere lo specifico rischio da contagio per coronavirus, per le ragioni che abbiamo spiegato altrove (cfr. C. Ruga Riva,  La violazione delle ordinanze regionali e sindacali in materia di coronavirus: profili penali, in Sistema penale, par. 2).

Da ultimo il Governo è intervenuto con decreto legge del 25 marzo 2020 (per un’analisi più approfondita si rinvia al commento di G. Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in Sistema penale, 26 marzo 2020), nel tentativo di mettere ordine in un quadro normativo caotico e mal coordinato, nel quale convivevano divieti e obblighi statali, regionali e comunali, spesso non coincidenti, con conseguenze incertezze applicative anche sulle fattispecie penali da applicarsi in caso di loro violazione.

Non vi è qui spazio per entrare nei dettagli extrapenali della nuova disciplina, pur importantissimi: basti ai nostri fini rinviare alla sintesi di G. Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, cit., che individua i seguenti tratti innovativi:  a) estensione delle misure di contenimento del virus – se necessario – all’intero territorio nazionale; b) carattere tassativo delle misure limitative – nel complesso 29 tipologie –, ora elencate (nell’art. 1) senza più riprodurre la clausola in bianco delle eventuali “ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza”; c) adeguatezza specifica e la proporzionalità al rischio effettivamente presente, su base locale o nazionale, come criteri che legittimano l’adozione delle misure limitative per periodi predeterminati; d) il carattere primario e centrale della competenza statale nell’adozione delle misure limitative; e) la competenza eccezionale delle regioni attribuita per introdurre in via d’urgenza misure limitative, tra quelle tipizzate dall’art. 1 del decreto-leggee solo nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, con efficacia limitata fino a tale momento; f) il divieto per i sindaci di adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare   l'emergenza in contrasto con le misure statali).

Il d.l. n. 19/2020 interviene anche sull’apparato sanzionatorio (art. 4) connesso alle violazioni delle 29 tipologie (art. 1) di misure di contenimento del rischio sanitario.

Viene abbandonata la via dell’applicazione quoad poenam dell’art. 650 c.p. (Inosservanza di provvedimenti legalmente dati dalle autorità competenti per ragioni, tra l’altro, di igiene), attraverso l’abrogazione dell’art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020, che in poche settimane di vigenza aveva portato ad oltre 10.000 denunce, e che si annunciava impraticabile per la già provata macchina della giustizia, tra l’altro paralizzata dall’emergenza COVID-19.

Al posto dell’arma (spuntata) della contravvenzione penale il legislatore, condivisibilmente, ha puntato in primo luogo e principalmente sulla sanzione amministrativa, prevista per 28 delle 29 tipologie di misure di contenimento del rischio elencate nell’art. 1 del d.l. n. 19/2020.

In particolare sono previste sanzioni amministrative pecuniarie da 400 a 3.000 euro e, in aggiunta, per la violazione degli obblighi di chiusura di esercizi commerciali e attività, sanzioni interdittive (chiusura dell’esercizio o attività da 5 a 30 giorni).

L’art. 4, co. 8 introduce un’apposita disposizione transitoria, che consente l’applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative nella misura in cui esse “sostituiscono” (così è scritto impropriamente) sanzioni penali, in misura non superiore alla pena prevista in passato.

È previsto un nuovo reato, di inosservanza della misura di isolamento del soggetto contagiato, costruito con rinvio alla violazione di una (sola) delle misure di contenimento del rischio sanitario previste dall’art. 1.

Così l’art. 4, co. 6 del d.l. n 19/2020 incrimina, “salvo che il fatto costituisca violazione dell’articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all’articolo 1, comma 2, lettera e), è punita ai sensi dell’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265…come modificato dal comma 7”.

La misura di contenimento del rischio sanitario in questione prevede il “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus”.

Si tratta di una violazione di sicuro spessore offensivo, scientificamente fondata sulle caratteristiche di particolare diffusività del coronavirus da parte del malato che, violando l’obbligo di autoisolamento, costituisce pericolo per la collettività.

La contravvenzione, punita con pena congiunta dell’arresto da tre a 18 mesi e dell’ammenda da 500 a 5.000 euro, sembra prescindere da contatti del malato con altre persone, o dall’essere il medesimo munito di mascherine o di altre cautele nel caso venga colto in luogo pubblico o comunque in presenza di altre persone.

Semmai, tali ultime circostanze potranno essere se del caso valorizzate – con tutte le difficoltà probatorie del caso – per contestare il diverso e più grave delitto di epidemia, fatto salvo con apposita clausola di riserva.

 

L’emergenza coronavirus ha una dimensione globale, come forse mai era accaduto prima nella storia, non solo recente.

La gravità della  pandemia è sotto gli occhi di tutti.

Misure sempre più restrittive delle libertà (in primis di circolazione e di impresa) stanno toccando l’esperienza di miliardi di persone in tutto il pianeta.

Al giurista, in tempi di stato di eccezione formalizzato o meno, spetta l’impopolare compito di sottoporre a scrutinio critico i modi e i limiti di limitazione delle libertà, verificandone la conformità ai principi della rule of law, variamente declinati nelle carte costituzionali e dei diritti.

La dottrina è chiamata in causa non solo come guardiana dei principi dello Stato di diritto, ma anche come comunità dotata delle sensibilità e competenze tecniche per forgiare – ove serva – fattispecie penali capaci di fotografare con precisione classi di condotte pericolose o dannose per il bene giuridico della salute pubblica, o, se del caso, per suggerire illeciti amministrativi-punitivi proporzionati e adeguati per sanzionare violazioni dotate di minor disvalore.

Il contributo della scienza giuridica penale è oggi più “realistico” che mai: proprio l’estrema urgenza dei provvedimenti emanati e la celerità con la quale le riviste telematiche pubblicano opinioni e articoli dei giuristi rendono possibile un dialogo a distanza immediato e quasi senza intermediazioni con il legislatore.

Credo che la rivista Sistema penale, in questo senso, sia un esempio paradigmatico di come contributi “a prima lettura” o proposte di vario tipo possano avere una qualche influenza sul legislatore che, preso da convulsioni, ha bisogno di una guida nei momenti più difficili, quando è facile perdere lucidità e rincorrere comprensibili ansie di tutela.

In questo contributo, di carattere volutamente informativo, abbiamo sintetizzato l’evoluzione della frenetica e plurale normativa italiana, focalizzando l’attenzione sui suoi profili penali.

L’Italia, dopo Cina ed Iran, è stato il Paese che prima e più di altri ha sofferto e soffre le terribili conseguenze del COVID-19.

Da questo sfortunato punto di vista può essere un punto di osservazione privilegiato a livello di comparazione giuridica per la genesi e l’evoluzione di normative penali o amministrativo-punitive di contrasto alla pandemia.

Sarebbe interessante verificare quali strumenti penali siano utilizzabili in altri Paesi, ugualmente colpiti dalla tragedia, e quanto le peculiari architetture costituzionali (molto semplificando Stato unitario alla francese, Stato regionale alla spagnola, Stato federale alla tedesca o all’americana o all’argentina) incidano sulle risposte giuridiche e penali in particolare (ad es. attraverso fattispecie penali in bianco integrate da norme regionali o locali), o quanto invece emergenze globali suggeriscano risposte penali tendenzialmente uniformi.