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ISSN 2611-8858

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Giudicato

Giudicato penale e lex mitior nella tutela dei diritti fondamentali

Con il presente lavoro, si intende proporre, seppur in estrema sintesi, un’analisi delle principali questioni che hanno interessato il recente dibattito circa il rapporto tra il principio di intangibilità del giudicato penale e la tutela dei diritti umani del detenuto, in ragione dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU. L’oggetto di indagine sarà, dunque, limitato alla relazione intercorrente tra il giudicato penale interno e l’incidenza dell’esecuzione della giurisprudenza sovranazionale.

Giudicato costituzionale, processo penale, diritti della persona

Il presente scritto muove da una recente pronuncia delle Sezioni Unite, che mette sul tappeto in termini del tutto inediti la questione della tenuta del giudicato penale e dei conseguenti poteri della magistratura d’esecuzione a seguito di una decisione d’incostituzionalità di una norma penale diversa da quella incriminatrice. La questione ripropone il tema della legalità della pena in fase esecutiva, un tema che va ormai certamente affrontato alla luce del diritto costituzionale e dello international human rights law. Qui, peraltro, la Corte di Cassazione, movendo dal presupposto che la norma incostituzionale sia stata applicata dal giudice della cognizione, demanda al giudice dell’esecuzione la rideterminazione del bilanciamento tra circostanze e con essa la ridefinizione della sanzione, affidando così alla magistratura esecutiva scelte valoriali che competono al processo di cognizione. Questo lavoro analizza se e come, in una situazione quale quella affrontata dalle Sezioni Unite, tale conclusione sia praticabile e, ripercorrendo le tappe della distinzione sul piano dell’efficacia temporale della legge penale tra illegittimità costituzionale e riforma legislativa, propone una riflessione assiologicamente orientata sul giudicato penale.

La rescissione del giudicato ex art. 625 ter c.p.p.: un istituto da rimeditare

Il rimedio restitutorio della rescissione del giudicato, inserito nel codice di rito penale dalla l. 28 aprile 2014, n. 67, viene analizzato in chiave critica: la scelta del legislatore di affidare la competenza funzionale in materia alla Corte di Cassazione appare improvvida e la tecnica normativa, lacunosa e sciatta, dà luogo ad innumerevoli risvolti problematici. Anche talune indicazioni provenienti dalla sentenza delle Sezioni Unite che si è occupata dell’istituto non possono considerarsi come dei punti fermi. Sarà il futuro a riservare nuovi sviluppi.

Ardita la rotta o incerta la geografia? La disapplicazione della legge 40/2004 “in esecuzione” di un giudicato della Corte edu in tema di diagnosi preimpianto

Con l’ordinanza richiamata nel sottotitolo il Tribunale di Roma “chiude” di fatto la nota vicenda giudiziaria “Costa-Pavan”, in tema di diagnosi preimpianto e diritto all’accesso alla procreazione assistita da parte di coppie non sterili ma portatrici di gravi malattie ereditarie. Invece di essere fatto oggetto di questione di costituzionalità, l’art.4 della l. 40/2004 viene “disapplicato”, in modo da consentire immediatamente ai ricorrenti, pur capaci di avere figli, di usufruire di un trattamento di fecondazione assistita e, quindi, di una diagnosi e selezione preimpianto, così da superare nel caso specifico la discriminazione rispetto a coppie che, sugli stessi presupposti e per gli stessi fini, avrebbero la possibilità di accedere ad indagini prenatali ed eventualmente all’interruzione volontaria di gravidanza; discriminazione già censurata in una precedente decisione dalla Corte EDU, stimolata da un ricorso “diretto” degli stessi coniugi. L’analisi del provvedimento e dei peculiari percorsi procedurali che ad esso hanno condotto costituisce occasione per un approfondimento dei nessi tra sistema giuridico CEDU e ordinamento interno, nella prospettiva del c.d. “dialogo tra le Corti”. Tale approfondimento si giova, tra l’altro, di una rilettura delle sentenze sull’altrettanto noto caso “Scoppola”, che sembra rivelare una tendenza non pienamente dichiarata della giurisprudenza, persino costituzionale, ad asseverare forme di disapplicazione di norme di legge in esecuzione sostanziale di sentenze CEDU, limitata alle sole ipotesi in cui il giudice interno abbia a decidere del medesimo caso già preso in considerazione a Strasburgo. Una tendenza che potrebbe costituire un plausibile “compromesso” – nel caso specifico (connotato da profili problematici peculiari), ma anche più in generale – tra l’esigenza di mantener ferme la “separazione” tra potere giudiziario e legislativo nonché le logiche del principio di legalità, e l’opportunità di concedere al giudice italiano spazi di interazione diretta con quello sovranazionale, senza che tale interazione abbia ad incidere sulla dimensione “generale ed astratta” dell’ordinamento.

Giudicato penale e resistenza alla lex mitior sopravvenuta: note sparse a margine di Corte Cost. n. 210 del 2013

La Corte costituzionale, pur accogliendo, con la sentenza n. 210 del 2013, un incidente sollevato dalle Sezioni unite penali della Corte di cassazione per consentire ai “fratelli minori” di Scoppola di conseguire dal giudice dell’esecuzione la commutazione dell’ergastolo nella pena detentiva di trenta anni di reclusione, mantiene ferma in ogni altro caso la stabilità del giudicato di condanna dinanzi alla sopravvenuta lex mitior. Tuttavia alcune sue recenti decisioni, produttive di uno ius superveniens più favorevole al reo, potrebbero determinare effetti anche in sede esecutiva, alla luce di quanto dispongono gli artt. 136 Cost. e 30 legge n. 87 del 1953.